Marco Simonelli su Alessandro Raveggi e Despairs!:
Si tratta di un’epica onirica, “del sogno/ [...] di averci un sogno”: un esodo di “anfibi a vita,/ subacquei bifidi” in cui Raveggi si colloca, non come cantore, piuttosto come osservatore travolto da un frenetico fuggi fuggi generale (“Sfollaggio Globale”) che si traduce nella scrittura attraverso un percorso elencativo di toponimi (Firenze, Las Vegas, Foresta Nera, Cadiz), celebrità popopolari o referenziali (Morrison, Adorno, Antonello Satta Centanin, Stockhausen) in una sorta di spot per un “planning dell’Apocalisse”. Nella scrittura di Raveggi (sia in poesia che in prosa) il movimento di fuga che caratterizza il suo incedere spastico convoglia, in una sorta di frana o slavina dell’immaginario, materiali linguistici differenti; dalle frasi fatte ai titoli dei film, dagli slogan alle formule filosofiche, una frana continua di suoni e sensi incadescenti, potremmo dire lavici, sono la reazione espressiva ad una calamità umana inevitabile, la “lasagna culturale” del nostro tempo, da cui è facile essere fagocitati. Una lasagna che Raveggi combatte con gli stessi ingredienti, nel forno (crematorio?) del linguaggio parlato (“pasticcio di lingue”) venendo “a contatto con il bruciaticcio/ dell’umanità”.